Il ponte nel bosco

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di Ilenia Vitale

Il bosco della Sila sembrava particolarmente rigoglioso, quella mattina di inizio primavera. Il sole splendeva tiepido in alto nel cielo, facendo risplendere il paesaggio sotto i suoi raggi dorati. Il vento, ancora fresco, soffiava tra i rami rigogliosi degli alberi, portando con sé una scia di odori incantevoli. Diana distingueva tra questi il dolce profumo delle primule appena nate e quello pungente della terra bagnata. Ieri, l’ultima pioggia invernale si era abbattuta sulla Sila, rendendo l’aria più fredda di quanto già non fosse.Tuttavia, la naturale sembrava ancora più viva del solito. Sentiva le api ronzare e gli uccelli cinguettare svariate melodiedistinte fra loro. Ognuno aveva il proprio canto, il proprio ritmo ed era proprio questo a creare quell’armonia che da sempre regnava in quel bosco. Anche il lago oggi cantava. Sotto i suoi piedi, sotto il piccolo ponte di legno, l’acqua cristallina era animata da una miriade di pesci dai vari colori. I raggi del sole che si riflettevano sulla superficie creavano giochi di luce dalle sfumature dorate.
«A Marco sarebbe piaciuto. Lui adorava la natura» si disse sottovoce, ammirando lo spettacolo che aveva di fronte, quasi con nostalgia. Nostalgia dei bei momenti che aveva trascorso insieme a lui in quel posto. Nostalgia dei baci che si erano dati su quel ponte, nascosti dalla natura, come due adolescenti alle prese con il primo amore. O più semplicemente per le ore passate in silenzio, lui a scrivere, lei a disegnare. Apparentemente lontani ma sempre vicini, come solo chi si ama davvero sa fare. Quello, era diventato il loro posto speciale.
Una lacrima le scese lungo il viso, bagnandole la guancia e scendendo sotto il mento. Una lacrima a cui presto se ne aggiunsero delle altre. Sentiva come se il cuore stesse per esploderle in petto. La tristezza, mista al dolore e alla rabbia, la stava uccidendo pian piano. Da quando lui non c’era più, la sua vita era cambiata totalmente. Non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che aveva mangiato. La depressione la stava divorando, famelica. Della forte donna che era un tempo, non rimaneva più nulla, se non il ricordo. Adesso, si era ridotta a sembrare ad una ragazzina pelle e ossa che sopravviveva, inattesa che la morte si portasse via anche lei. Se ne rendeva conto, ma non faceva nulla per cambiare o andare avanti. Non ne aveva il coraggio, forse per paura di dimenticarlo.
«Perché mi hai lasciata?» chiese urlando, come se Marco fosse lì con lei in quel momento. La sua voce era spezzata dal pianto. Attese singhiozzante una risposta che non arrivò mai. «Io ti amavo» continuò «e ti amo ancora. Come hai potuto farmi questo?» Si morse l’interno della guancia fino a farla sanguinare. Perché Marco non era più con lei? Si chiese.Lentamente, si mise a sedere. Le mani e le ginocchia le tremavano come foglie in balia del vento autunnale. Si portò le gambe al petto, stringendole a sé, come per farsi forza. Una forza che non avrebbe mai più ritrovato. Forse perché, senza che nessuno dei due se ne rendesse conto, erano diventati l’uno la forza dell’altra. Non sempre esisteva una spiegazione logica a quel che accadeva, alla morte soprattutto. Marco era così giovane. Aveva appena compiuto trent’anni, un mese prima di morire. Adesso, che di mesi ne erano passati sei, Diana sperava ancora di svegliarsi da quell’incubo. Quella non poteva essere la realtà, era tutto troppo doloroso!
«Tutta colpa di uno stupido incidente stradale. Unincidente a cui erano sopravvissuti in tanti, ma che per te è stato fatale» disse ancora. Si sentiva stupida a parlare da sola, ma non riusciva a smettere di farlo. Lo vedeva come un modo per sentirlo più vicino a sé, parlargli come se fosse ancora vivo.
Guardò in alto, verso il cielo. Era di un meraviglioso azzurro brillante. Di così chiari, ne aveva visti solo qui. Fu proprio parlando del cielo che lei e Marco si rivolsero la parola per la prima volta, circa otto anni prima. Diana sorrise fra le lacrime, ricordando quel giorno così speciale, che le sarebbe rimasto inciso del cuore per sempre.
Era una calda giornata estiva e Diana si era recata, come suo solito, su quel ponte per dipingere lo stupefacente scenario che quell’angolino della Sila le offriva. Lo aveva dipinto così tante volte che ormai avrebbe potuto farlo ad occhi chiusi. Eppure, ogni volta che lo disegnava, le sembrava sempre più bello. Solo che, quel giorno, aveva trovato un estraneo lì seduto. Aveva sulle ginocchia un piccolo diario in pelle consunta, con tanti fogliettini che fuoriuscivano dalle pagine.Lo sguardo su un punto indefinito del lago mentre mordicchiava nervosamente il tappino della biro. Se ne stava lì, immobile, come se fosse in cerca d’ispirazione. Si voltò verso di lei, dopo aver notato che lo stava fissando.
«Bello il cielo, oggi. Non trovi? È di un azzurro così intenso, che neanche il migliore pittori sarebbe in grado di riprodurre» le disse, togliendosi la penna dalla bocca. Diana si sentì arrossire fino alla punta dei capelli. «Io sono Marco, tu invece?»
«Diana» rispose.
«Come la dea della caccia» Lei annuì e lui le sorrise. Aveva il sorriso tenero e naturale di un bambino. «Sei una pittrice?» disse indicando il cavalletto chelei aveva tra le braccia e la tela che fuoriusciva dalla sua borsa. Diana li fissò per un attimo, si era quasi scordata di averli consé.
«Solo per hobby. Tu, invece? Sei uno scrittore?»
«Sì, o almeno ci provo» Si passò imbarazzato una mano tra i ricci castani «Non sono mai riuscito a pubblicare nulla»
Marco pubblicò il suo primo libro a tre anni dal loro incontro. Una storia d’amore. La più bella che si potesse raccontare, per Diana: la loro. Era così minuzioso nei dettagli e nel descrivere i loro momenti più belli, che la ragazzafinì per chiedersi se non liavesse raccoltigiorno per giorno in un diario. Prese il libro dalla borsa. Da quando lui era morto aveva l’abitudine di portarlo sempre con sé. Senzaquel libronon usciva mai di casa, o riusciva ad addormentarsi. Era diventato per lei essenziale come l’aria che respirava. Era troppo ossessionata da quel romanzo. Ma tre dei loro sette anni d’amore erano conservati in quelle pagine ingiallite dal tempo. Aprì il romanzo a pagina quarantanove e lesse il titolo scritto in grassetto: “Capitolo sette. Il primo bacio”
D’istinto, Diana si portò due dita alle labbra. Ricordava quel giorno come se fosse ieri. Se lo diedero proprio lì, sul quel ponte, un pomeriggio di metà settembre.
Erano più o meno le due, quando Marco le inviò un messaggio chiedendole di incontrarsi al “solito posto”, ovvero il ponte, alle cinque di quel giorno. Diana era indecisa se accettare o meno, dovendo studiare per l’esame di psicologia, ma alla fine riuscì a trovare un po’ di tempo per lui. Così, s’incontrarono.
Quando arrivò al ponte, non fu sorpresa di trovarlo già lì, seduto ad osservare il panorama. Come al solito, aveva in mano il suo diario e la penna mordicchiata.
«È molto che mi aspetti?» gli chiese. Lui scosse la testa.
«Mi spiace averti disturbata. So che hai un esame importante, la settimana prossima…» Diana alzò le spalle, per dirgli che non importava. Anzi, per lei staccare un po’ dallo studio era la cosa migliore da fare. «Devo dirti una cosa urgente, troppo importante per scrivertela con un messaggio» Marco si guardò la punta delle scarpe, imbarazzato comelei non lo aveva mai visto. Stette zitto per un po’, a pensare con quali parole avrebbe dovuto confessarglielo. Sospirò, poi riprese a parlare: «Ti amo, Diana» Lo buttò fuori tutto d’un fiato.
Diana sorrise. Il petto sembrava stesse per esploderle dalla gioia. Lei, che lo aveva fin da subito amato, era tanto, troppo, che aspettava una dichiarazione del genere. E sorrise anche lui.
Non seppero mai chi fece la prima mossa, ma le loro labbra di si unirono in un dolce e lieve bacio.
Era incredibile quanto tempo fosse passato da quel giorno, quanto tempo avessero trascorso insieme. E quanto ancora ne avrebbero avuto da trascorrere, l’uno accanto all’altra, se lui non fosse morto.
Andò alla prima pagina del libro e lesse la dedica scrittale a mano da Marco: “A Diana. Nulla di tutto questo avrebbe avuto senso, senza te al mio fianco”. Passò l’indice sulla sua calligrafia da bambino, lettera per lettera. Una loro fotografia scattata cinque anni prima era attaccata sotto la frase. Erano belli e sorridenti, felici per il loro amore. Erano la personificazione di una coppia che non desiderava altro che stare insieme.Di trovare l’uno nell’altra il loro per sempre. Ma la vita è ingiusta. E Diana e Marco lo avevano capito a loro spese.
Sfogliò il libro fino all’ultima pagina e lesse l’ultima riga: “E continuammo a baciarci su quel ponte, dove c’incontrammo per la prima volta”
Delle volte è davvero strano il destino, quello fuanche il luogo dove s’incontrarono per l’ultima.

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