Non pioveva più

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di Massimo Veltri

Pioveva. Pioveva da una settimana e una mezza idea di andarsene gli era pure venuta. Solo mezza però perché pure con vento e pioggia il bosco che si vedeva dalle finestre, l’alzarsi e  l’abbassarsi  del vapore o della nebbiolina al mattino e alla sera, quel silenzio amico, erano una compagnia. Una compagnia che non avrebbe trovato in nessun’altra parte. Erano i primi di agosto e gli vennero in mente i tanti agosti e lugli e giugni e settembre che aveva passato in Sila. Sila Grande e Sila Piccola, ma soprattutto quelli della Poverella, sul Savuto, quando d’estate era con moglie e figli nella baracca in riva al lago, e d’inverno pure ma senza famiglia, tutto solo da marzo a ottobre a fare scuola in una pluriclasse. Dove c’erano i figli dei turbinisti, dei cantonieri, dei capocentrale della Sme e pure dei contadini e degli assegnatari che, alcuni, si facevano pure cinque  o sei chilometri per andare e lo stesso per tornare. Ora era in pensione, da un bel po’, ed erano rimasti lui e la moglie. I figli sparpagliati per il mondo. Si telefonavano e si scrivevano ma vedersi era sempre più raro. In quell’agosto di pioggia la moglie era rimasta in città, non si sa per quanto tempo: assisteva una sorella ricoverata in ospedale. Ma lui al caldo non resisteva e la casa in Sila bisognava comunque fargli prendere aria. Tutte scuse… come faceva a stare senza l’odore, la luce, i colori che lo avevano accompagnato per tutta la vita, lo avevano cresciuto, lo avevano cullato. E pioveva. Si tolse gli occhiali, stava leggendo un libro di Nicola Misasi, quando bussarono alla porta. Un po’ infastidito per l’interruzione (era a buon punto nella ricostruzione della storia della riforma agraria sull’Altopiano e dell’Opera Sila, con libri da per tutto, e appunti e quaderni già pieni), pensò comunque che un po’ di compagnia gli avrebbe fatto bene, purché buona compagnia.
La compagnia era buona: era il suo vecchio sodale, un geometra del catasto, quando ancora c’era il catasto, col quale s’era diviso tante avventure, tante bevute e mangiate, tante discussioni e poche litigate. Non stava molto lontano da lui, di casa, era vedovo e senza figli e portava una borsa di plastica ben coperta sotto un ombrello tanto grande che pareva un ombrellone da spiaggia. Cuccìa, appena arrivata da Pedace, un poco di Paesanella, due pomodori e pane della majilla. Entrò, si tolse il soprabito intriso d’acqua e subito incominciò a dire che bisognava accendere il caminetto. Era una vecchia questione: a lui piaceva l’area naturale se pure umida, e odiava il fumo, al geometra piaceva quell’aria accogliente che solo la fiamma scoppiettante sapeva creare. Vinse il geometra, ché – disse – la cuccìa era fredda e andava tenuta per bene a bagno marìa su un bel fuocherello di legna. Nel frattempo era partito il primo bicchierino di paesanella. Un lampo squarciò il cielo, un tuono rimbombò. Ti ricordi quel viaggio in treno, attaccò il geometra? Quale, gli rispose. Si alzò e mise sul giradischi la Carmen. No!, fece quello del catasto: a lui piaceva Ornella Vanoni, Mina. Ma il capolavoro di Bizet continuava, a volume alto ché la pioggia rumoreggiava. Come quando?, quando scendemmo alla stazione di Righìo e ci inoltrammo verso la Valle dell’inferno. Era fine maggio e quante giunchiglie trovammo, funghi ancora niente. A proposito, hai saputo che vogliono chiudere la linea ferrata San Giovanni-Cosenza? Chiudere, e perché chiudere? E dov’è la sorpresa? E case cantoniere, allora, e i laghi, i laghi a chi li vogliono dare? Ho come l’impressione, dissero praticamente tutt’e due insieme, che siamo un poco superati, che il mondo sta andando in una certa direzione e noi siamo rimasti fermi. Va bé, facciamo un tressette mentre la cuccìa si riscalda per bene. In quel momento… in quel momento aprì gli occhi e sentì un gran vociare, clacson di macchine, suoni di chitarre e canzoni intrecciarsi. Una luce accecante invadeva la casa attraverso le finestre, accecante, bianca, purissima. Si affacciò e vide neve tutt’intorno mentre il sole brillava in un cielo terso. Dai pini pendevano pinnacoli di ghiaccio. Un po’ stranito buttò l’occhio sul calendario appeso alla parete: 31 dicembre 2018. La poltrona era vicino il fuoco, i cuscini stropicciati, l’albero di Natale festoso e luminoso. Né libri né quaderni né appunti lì intorno, ma il quotidiano locale di quel giorno, solo quello. Aperto sulle pagine di Sila e dintorni. ”Nostro servizio: Boom di turisti sull’altopiano; dopo le presenze record dell’estate con i laghi pieni di natanti e turisti un altro primato per la Sila; il Parco della Sila, parco dell’anno; l’energia idroelettrica prodotta dagli invasi silani in cima fra le energie pulite in Italia; il treno della Sila riaperto con grande afflusso di passeggeri; l’export dei prodotti agricoli silani in grande saldo attivo; la scuola estiva dell’Università ha fato registrare un successo di iscritti”. Possibile che mentre dormiva s’era verificato tutto questo? E quanto tempo aveva dormito? Decise che doveva subito andare a trovare il suo sodale, l’amico geometra del catasto. Lui avrebbe saputo spiegargli tutto. Si vestì per bene e disse alla moglie che stava guardando qualcosa in televisione: Io esco. Lei: Stai attento che non sei più un giovanotto, e torna presto che mi devi aiutare per il cenone di stasera. Lui sorrise, s’infilò i guanti, si calcò il cappello e pieno di dolori aprì la porta. Non pioveva più.

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