di Emilio Nigro
“Zio, zio! Ziooo! Passa su pallùni. E passa pa. Ziiiio! Nun ta teni sempri ntr’i pedi sa palla. Jamu ja, passa cà”
Tre contro tre. In riva al lago. L’Ampollino. Dove i pochi pescatori di queste parti lasciano la gabbia per i siluri. Pure qualche trota si affaccia ogni tanto. Entrano, mangiano e non riescono più a uscire. Stupidi i pesci.
Due porte fatte da due paia di zaini per terra. Sulla rina un po’ umida del bagnasciuga.
“E se il pallone va nel lago zio?”
“Con la scusa ci facciamo il bagno”
È una diceria che a fare il bagno al lago si rischia di morire. Che lo correnti ti trascinano in basso. La densità dell’acqua, essendo dolce, è maggiore e allora si fa più fatica a nuotare. Chi sa stare a galla non affonda nemmeno nel lago.
Tre contro tre. Mimì, 15 anni e sguardo malandrino. Gatàno, un paio d’anni in meno e sguardo tontolone. Zio Chicco, sulla quarantina, ammogliato, appena assunto, emigrato. Di Lorica. In trasferta a Camigliatello.
Si passavano la palla in riva al lago quando un trio di bellimbusti si avvicina. Non sono del posto. Si vede da come camminano, da come sono vestiti, da come sono fessi. Saranno pulintuni, pensa zio Chicco. Si presentano educatamente, sono cordiali, parlano ‘taliano perfetto. Mimì s’avvicina allo zio:
“Chini su si tri ricchiuni zì?”
“Mimì nun fa u scustumatu, mo jucamu cu lloro”.
Lorica contro rappresentativa Friuli Venezia Giulia. Tre contro tre. Chi perde prepara un pranzo. I pulintuni sono tutti sulla trentina. Quando scendono da queste parti, immaginano di trovare pastori, transumanze, donne in burka, analfabeti. Sogni. E nei sogni qualcosa di vero c’è. Contro due ragazzini e un ‘vecchietto’. Credono di vincere facile. Effettivamente non c’è confronto. Ma a Zio Chicco le sfide piacciono. S’è sentito sfriculiato, nasando la spocchia dei pulintuni arroganti di dominare l’incontro. È lui a proporre il pranzo.
Zero a zero palla al centro. Si gioca a portieri volanti. A turno ognuno dei giocatori va in porta, ma può avanzare, segnare, un falso libero insomma. Zio Chicco decide per primo, di andare in porta. Pensa di fare sfiancare i pulintuni barricando la difesa e poi sfruttare la freschezza dei nipotini. La strategia non funziona. I ragazzini ci sanno fare con la palla ai piedi, vanno a scuola calcio, come tutti i bambini di qua attorno. Ma non è come in città che li devi levare dalla strada. Qui strade ce ne sono ad unire paradisi. Il calcio, da queste parti è nelle vene, i piedi sono fatti per tirare due calci a un pallone. I ragazzini corrono, fraseggiano, dribblano, ma i pulintuni sono granni e basta una spallata “regolare” per levare il pallone dai piedi ai due fratelli. L’assedio dei pulintuni è costante. Ci provano in continuazione, il primo quarto d’ora i silani sono costretti nella propria metà campo. Triangolo e tiro. Cross dal portiere e calcio al volo. Discesa sull’ala, passaggio rasoterra dietro e palo! Zio Chicco si difende bene, la mole appesantita dal matrimonio e dalla carne podolica risulta efficace a contrastare i ripetuti affondi. Le para tutte e quando può tira da lontano. Lontano dalla porta. Ha giocato da terzino nella squadra di paese. Polmoni buoni ma piedi storti. Decide che è il momento di entrare nella mischia. Manda in porta Gatàno, il piccino. Rimanendo nelle retrovie confidando negli scatti di Mimì. Mimì è forte. Il numero dieci degli allievi della squadra del paese. Se non fosse perché la mamma vuole tenerselo stretto stretto fra i monti, avrebbe preso altri lidi, calcisticamente parlando. Lo vide giocare un osservatore della capitale, lo voleva. Ma Mimì resta in riva al lago. A gonfiare le reti scalcinate e rattoppate dei campi in terra battuta e il cuore di sua mamma Lina.
Con Zio Chicco al centro del campo si ristabiliscono gli equilibri: gioca la palla, si smarca goffamente, ogni tanto interviene duro. Per far capire ai pulintuni chi comanda. Per stabilire gerarchie in capo. Questa è terra loro, che si credono questi nordisti!
È passata na mezz’ora e il risultato non si sblocca. Mimì comincia a innervosirsi. Non è un buon segno. Quando gli capita non ragiona più, come è abituato a fare, col pallone tra i piedi e la testa alta, come i grandi fantasisti. Come Platinì. Suo idolo. Perché Lina è della Juve. S’innervosisce e non passa più la palla, si lamenta, reagisce ai falli di gioco (frequenti) dei friulani. A un’entrata scomposta subita, s’incazza e spintona l’avversario. Quello alza la voce. Zio Chicco redarguisce il nipote ma invita u pulintuni a stare calmo. È un ragazzino. Gli animi si accendono. La foga agonistica si traduce in grinta.
I pulintuni non sanno giocare granché ma hanno spirito di gruppo. Avanzano schierati, fanno girare la palla e arrivano facilmente in porta. Dove Gatàno si difende come può, ma è bassotto, nei suoi 13 anni. Un pallonetto a distanza ravvicinata lo scavalca. Una furberia. 1-0.
“Zio! Passa su palluni. Zì, nun fa tuttu sulu. Ziooooo, guardami cà!”. Mimì è incontenibile. Zio Chicco lo manda in porta. È agile, longilineo, una saracinesca. Si piazza al centro della difesa e lesto corre tra i pali. Gatàno è un piccolo genio di tecnica: piede sopraffino, eleganza, potenza e determinazione. Un centravanti di razza. Alla Van Basten, l’idolo di papà Michele.
L’assetto è giusto. Zio Chicco si posiziona a centro campo, un regista puro, Gatàno rimane di punta e Mimì smista la palla dai pali. Ognuno una zona, quando attaccano, s’avvicinano nel fazzoletto di terreno utile a ricamare il gioco, rimanendo però tatticamente schierati. Funziona. Il portiere volante pulintuni è costretto al miracolo in diverse occasioni. In una, Mimì lancia a mezza altezza per Gatàno, palla a terra con disinvoltura, dribbling a rientrare, finta il tiro e appoggia a Zio Chicco che sferra il tiro, che azzecca stavolta, ma trova pronti i riflessi del portiere avversario. La strada è giusta. Prima della fine del primo tempo è Mimì a sorprendere il gioco. Ruba palla all’attaccante lanciato a rete e si fionda a testa bassa verso la porta avversaria. Zio Chicco intuisce e si piazza davanti la porta a sostituire il nipote. Gatàno si smarca. Ma Mimì s’è acceso. Fa tutto da solo. Gli si fanno incontro in due, quelli rimasti, li aggira con una veronica e prova il tiro da lontano. Palo.
“Mimì! Eri sulu, senza nuddru davanti, e arrivaci a sa porta!” impreca lo zio.
Fine primo tempo.
Nell’intervallo tra giocatori avversi non si scambia nemmeno una parola. La partita è sentita. I pulintuni non ridacchiano come prima di chiedere di giocare. Si guardano attoniti, meravigliati. Sicuri però di portare a casa la vittoria. Parlottano nella loro lingua barbara incomprensibile. I silani si siedono con le ginocchia alte, nessuno si dice nulla, ma nei visi scorgono l’uno l’altro la fierezza della battaglia, l’intenzione di lottare sudando fino alla fine, ognuno nella sua zona, ognuno per fatti suoi e per tutti. Nel frattempo, attorno all’improvvisato rettangolo di gioco, s’è assiepata una piccola folla di curiosi. C’è pure Titina, una ragazzina quasi maggiorenne di cui Mimì è segretamente innamorato. Se ne accorge, il ragazzino, alla ripresa del gioco.
“Zì. Và m’porta” Fa Mimì. Zio Chicco esegue.
Gatàno e Mimì diventano Van Basten e Platinì. Uno ubriaca gli avversari, l’altro fa vedere i sorci rossi al portiere. Ma quelli si barricano. Si chiudono. Giocano duro. Van Basten lanciato a rete viene atterrato bruscamente da Friuli. Si sbuccia il ginocchio. Si fa male. Mimì s’infuria. Va per reagire di malo modo ma Zio Chicco gli urla in tempo: “Mimì! Statti buanu porcoggiuda!”. Ma s’incazza pure lui. Si mette davanti il falloso a muso duro, faccia a faccia, senza fare altro, occhi negli occhi. Quello, u pulintuni, abbassa lo sguardo.
Punizione al limite. Gatàno e Mimì sulla palla. Gatàno alza la palla sul posto per Mimì, quello stoppa di petto e piazza un tiro a effetto. Magia. Pareggio. Zio Chicco impazzisce. Zumpa, grida, fa i striapiti. Mimì corre verso la folla in delirio, si butta a terra sovrastato da abbracci. Si rialza, guarda Titina sorridente, orgogliosa, e ritorna in campo.
I pulintuni sono frastornati. Chi se l’aspettava che sti due gnifatiaddri giocassero così. Provano un senso di umiliazione e di rivalsa. Tocca a loro. Si passano la palla, giocano grintosi, entrano meno fallosamente per paura di Zio Chicco, ci mindanu anima e corpo. Ma Gatàno e Mimì ora sono Van Basten e Platinì. È ancora Mimì a rubare palla all’avversario a metà campo, va verso l’ala, temporeggia, si ferma, alza la testa. Si tiene la palla tra i piedi giocherellando, irridendo gli avversari. Quelli, come tori derisi, si fanno sotto, a due. Mimì gli fa passare la palla in mezzo, ai due, e aggirandoli la recupera. Gatàno lo aspetta al centro dell’aria, è solo. Due contro uno. Platinì e Van Basten contro il solitario portiere. Ma Mimì va verso la porta.
“Mimì passa sa palla!” gli grida Zio Chicco. “Mimì u vi adduv’è fratitta, dunaccella. Mimììììììììì!”. Ma Mimì è sordo adesso. Si trova davanti il portiere, finta di piazzare la palla, quello si butta e passa a Gatàno. Un’altra magia. Il fratellino inzacca. Rete! Sud 2 Nord 1. Zio Chicco non crede ai suoi occhi. Fa il giro del campo un paio di volte.
“Zio Chì, accuartu can un ta vianti”. Lo sfotte Mimì che intanto esulta poco, come i grandi, vanitoso. Gatàno è incontenibile, si butta fra le braccia dello Zio.
Lina intanto raggiunge il campo. È stata avvisata dello spettacolo che accadeva in riva al lago. “Linù, ci su i figli tua ca stannu faciannu ‘ncantà u munnu” si racconta abbia gridato qualcuno a Lina da sotto il balcone dove quella stendeva le camicie del marito.
Giunta la mamma al campetto, i ragazzini s’emozionano. Vogliono strafare, diventano leziosi. Zio Chicco s’inalbera e dieci minuti prima della fine della partita, quando ormai i giochi sembravano fatti per l’ubriachezza del gioco dei due e la stanchezza dei nordisti, il Friuli va in gol. Mimì perde palla quando i suoi compagni erano sbilanciati in avanti, per eccesso di narcisismo, e spedito l’avversario va facile facile in porta. 2-2. Nell’esultanza aggressiva dei pulintuni uno di loro alza il dito medio a Zio Chicco. Grave. Mimì si butta contro il tizio, gli da un calcio, quello va per reagire, contro il ragazzino, impudentemente, arrestandosi quando s’accorge che intanto la folla ha invaso il campo.
“Scustumati, pulintuni di merda, luardi, fitusi!” gli gridano contro, soprattutto le donne. Gli uomini avanzano minacciosi senza scomporsi con le mani sui fianchi. Quelli sbiancano, chiedono scusa, alzano bandiera bianca e si dichiarano sconfitti ‘a tavolino’. Giustificandosi con la foga dell’incontro e che tuttavia il loro gesto non era assolutamente intenzionale a offendere bensì un goliardico sfottò tradizionalmente d’uso dalle loro parti.
“No” – fa Zio Chicco intanto rimasto a sangue freddo e di pietra sul posto. La pietra che dentro nasconde la lava. “Mo jucati.”
E si riprende. Mancano 5 minuti. Attorno un silenzio epocale. Ma non come quando vai al cimitero a portare fiori ai Lari. Quel silenzio dà pace, tra gli arbusti e le cuccuveddre appollaiate sulle cappellette. Questo, è il mutismo di guerra. “Forza briganti!” Grida qualcuno dalla folla.
La partita è tosta. Passano dieci minuti, dovrebbe essere già finita e non si sblocca. I pulintuni non si danno per vinti, sembrano non intimoriti e da gente di frontiera quali sono tengono il coltello fra i denti. Zio Chicco in porta non si tiene, ha sentito il colpo, l’offesa, altro che sfottò, non si dovevano permettere. La folla è in fibrillazione. Se perdono, i ragazzi, perdono due volte. Vinti e mazzìati.
Il friulano più anziano avanza grintoso. Fa fuori Mimì, si libera di Gatàno, è solo davanti a Zio Chicco. È lui ad avere compiuto il gestaccio. Quello è a due passi dalla porta. È fatta. È più difficile sbagliare.
Zio Chicco distoglie l’attenzione dal gioco e, in posa da portiere piazzato, lo guarda dritto negli occhi. Fermo, senza battere ciglio, scurendo le pupille e iniettando veleno. Non si sa come il tizio inciampa tra i suoi piedi, goffo. Tutta la folla ride di lui. Palla a Zio Chicco, contropiede, uno in meno, Zio Chicco avanza, lento, appesantito, stanchissimo. La forza dell’orgoglio, il desiderio di vendetta.
“Zio, zio! Ziooo! Passa su pallùni. E passa pa. Ziiiio! Nun ta teni sempri ntr’i pedi sa palla. Jamu ja, passa cà!”
“Zio! Passa su palluni. Zì, nun fa tuttu sulu. Ziooooo, guardami cà!”
Ma quello s’è ‘ncapunito. Avanza a testa bassa e perde palle. In porta non c’è nessuno. Il friulano tira…la palla si dirige inesorabile verso la porta… la folla abbassa già lo sguardo, sconsolati, è juta, hanno vinto, n’hannu misu sutta…quando Gatàno spuntato da chissà dove guizza dietro la palla, corre, corre sembra avere dieci gambette, si butta in scivolata e toglie la palla all’altezza della linea invisibile tra gli zaini a fare da pali. Ma è rimasto in zona l’anziano pulintuni che raccoglie e tira da un passo. Fuori. La folla è in visibilio. Gatàno sfinito, gli sembra mancare l’aria e si sdraia pancia all’aria e braccia e gambe divaricate. Mimì gli si butta addosso abbracciandolo forte.
Dalla folla Titina prende coraggio. Non s’erano mai detti una parola con Mimì, mai. Però lei lo sapeva che a lui piaceva. E, pure se più piccolo, Mimì era assai biaddhru. Più grande dei suoi coetanei. E poi, era di buona famiglia, di grande stima nel paese. Titina prende coraggio e grida “Mimì e fallu stu gollu” prima di arrossire come una vampata. Mimì si fa dello stesso colore. Lo Zio lo guarda, sorridendo complice. In riva al lago ora, non c’è più il campo in rina umidiccia, non c’è più la squadra dei tre pulintuni scorretti, non c’è Gatàno, Zio Chicco, mamma Lina, il paese a tifare. Mò, ci sono Titina e Mimì. E l’acqua placida a specchiare languori.
Rimessa dal fondo. Gatàno rimane in porta sfiancato, Zio Chicco si mette davanti la difesa. Palla a Mimì, sulla linea della propria area, solo contro tutti.
“Vai Mimì” gli dice tra sé e sé Lina “corri Mimì, non fermarti, avanza, grinta, testa alta, non avere paura di nessuno, non perdere palla, scatta, dai, marcane uno, marcane un altro, marca il portiere…Gooooooooool!”
E il giovanotto va verso Titina, correndo, si ferma due passi prima, l’abbraccia in punta di piedi. Forte.
Sud batte Nord 3 a 2.