Il Draco Magnus dimenticato

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di Christian Zugni

Tutto iniziò con quella polmonite.
Quella notte di dicembre, Giovanni non riusciva a prendere sonno.
Erano mesi che Don Antonio gli dava ripetizioni di latino e ancora non si vedevano i risultati. Il giorno seguente l’ennesima verifica in classe l’avrebbe atteso e, se non avesse preso un buon voto, l’insufficienza in pagella sarebbe diventata certezza. Il parroco era convinto di una cosa: hoc opus, hic labor[1]. Il duro lavoro degli ultimi mesi doveva necessariamente dare qualche frutto. Era un prete piuttosto strano. Molto colto nonostante la giovane età, con tante storie che giravano attorno alla sua figura. Principalmente storie inventate. Nessuno sapeva cosa lo avesse portato a stabilirsi in quel paese sperduto sulla Sila ma tutti conoscevano il suo amore smisurato per i libri. Non aveva mai voluto soldi per le ripetizioni, gli bastava fare lezione nella splendida biblioteca del palazzo. Un’enorme quantità di libri che i genitori di Giovanni consideravano come soprammobili dato che ne avevano letti solo alcuni a portata di mano. Don Antonio sosteneva che era suo compito divulgare la conoscenza, non solo la Fede. Al massimo avrebbe accettato qualche piccolo aiuto ogni tanto, Do ut des[2], ma niente più. Anche se Extra ecclesiam nulla salus[3], le lezioni si erano ripetute con ritmo serrato, nella speranza di portare Giovanni se non alla salvezza eterna, almeno a quella dalle insufficienze.
Giovanni era a letto a guardare il soffitto, ogni rumore amplificato dal silenzio della notte. La casa era grande con un ampio cortile. Fuori la neve aveva incominciato a cadere e non sembrava intenzionata a smettere.
Improvvisamente sentì un cigolio strano provenire da sotto. Forse il vento. Forse no. Ubi dubium, ibi libertas[4].
All’improvviso, sentì un altro rumore, talmente debole che cercò di capire se venisse da fuori oppure se fosse solo dentro la sua testa. Forse era solo la stanchezza che, con il passare delle ore, lo spingeva verso il mondo dei sogni. Dopo poco lo sentì di nuovo. Il cuore di Giovanni batteva sempre più forte. Cosa poteva essere? I genitori dormivano e nulla avrebbe potuto svegliarli dal sonno abituale.
Era notte fonda, prese coraggio e si alzò senza fare rumore. Uscì dalla camera, attento e silenzioso. Se fossero ladri? Non sarebbe stata la prima volta. E se fosse il monachiello? Quaerite et invernieritis[5]. Il rumore sembrava arrivare dalla biblioteca. Sì fermò fuori dalla grossa porta e vi accostò l’orecchio. Nulla. Aveva freddo. Prese coraggio e aprì la porta, molto lentamente, solo un piccolo spiraglio per osservare la stanza. Accese la luce. Tutto era in ordine, almeno all’apparenza. La grande biblioteca aveva un solo ingresso e stava in un angolo dell’edificio. Il lato destro era coperto di scaffali dal pavimento al soffitto, con un tantissimi volumi di cui la maggior parte impolverati. Per raggiungere i libri che stavano più in alto c’era una scaletta traballante che si spostava lungo un binario. Sul lato sinistro due grandi finestre davano nel vaglio retrostante. In mezzo alla sala, un grande tavolo sotto al quale stava un tappeto di dubbio valore. Vide che alcuni fiocchi di neve, spinti dal vento silano di Montenero, entravano da una delle finestre. Strano che qualcuno l’avesse dimenticata aperta in una serata come quella. Si avvicinò e vide delle impronte bagnate sul pavimento proprio sotto la finestra. Non c’erano segni di scasso. Guardò fuori, le impronte si perdevano in lontananza nel vaglio retrostante. Controllò che fosse tutto in ordine in casa, poi cercò un paio di scarpe e una giacca per coprirsi. L’abbigliamento rimediato non era molto adatto ma era il meglio che fosse riuscito a trovare in poco tempo, Carpe Diem[6]. Prese una torcia elettrica, scavalcò e saltò giù dalla finestra. Nonostante la neve continuasse a cadere copiosa, le orme erano ancora ben visibili. Il freddo si faceva sempre più pungente. I piedi erano stretti in una morsa di gelo. Giovanni pensava che, se si fosse sbrigato, avrebbe risolto il mistero. Attraversò l’antico centro storico fino alla chiesetta di San Giuseppe, appena fuori dal paese. Le orme terminavano sulla porta d’ingresso. Lupus in fabula[7]. La porta era chiusa. Bussò senza ricevere alcuna risposta. Pensò che Dio non risponde mai o meglio, non risponde mai a parole. Attese un minuto, prima di bussare di nuovo senza avere alcuna risposta.
Anche se era tutto bagnato e aveva freddo, decise di appostarsi, solo un attimo, nascondendosi tra le piante. Chi era entrato, sarebbe dovuto pur uscire. I minuti passavano e la neve continuava a scendere e, alla fine, la stanchezza ebbe il sopravvento, Giovanni si addormentò.
Da quel momento in poi, non ricordò più nulla, se non che si risvegliò il giorno seguente con febbre alta e un principio di polmonite. Fu salvato da Don Antonio che la mattina presto era solito recarsi in quella chiesetta a pregare. Lo riportò a casa in stato di choc e, con l’aiuto dei genitori, ricostruì quanto accaduto. L’ansia per la verifica di latino lo aveva spinto a seguire qualcosa fuori dalla finestra, sotto la neve. Nonostante le spiegazioni di Giovanni in merito alla finestra aperta, alle impronte e a tutto il resto, il mistero della biblioteca restò tale per tutti gli anni a venire. Alla fine, dato che non c’era stato alcun furto o scasso, conclusero che era stato frutto di un’allucinazione da stress. L’anno seguente, Giovanni finì il liceo, fu promosso e partì per entrare in una prestigiosa università milanese. A distanza di anni, si laureò e si trovò una splendida fidanzata che lo seguì in America. Tornarono in Italia solo per sposarsi nella chiesetta di San Giuseppe dove, un Don Antonio invecchiato nel corpo ma non nello spirito celebrò le nozze. Laura, sua futura moglie, era preoccupata per i suoi cinquanta invitati anche se, alle fine, gli invitati furono seicento e la festa durò una settimana. Una volta ripartiti, non tornarono più in Italia, fino a quando, diversi anni dopo, arrivò una lettera: Don Antonio stava morendo e voleva vedere Giovanni un’ultima volta prima di ottenere la vita eterna. Giovanni tornò al paese e si recò da Don Antonio. Era a letto e la malattia lo stava portando via.

«Grazie per essere venuto. Ho una cosa per te.» – esordì Don Antonio con voce stanca, indicando il cassetto del comodino – «Lì dentro troverai la chiave della chiesa di San Giuseppe. Apre sia il portone di ingresso che una piccola cripta che conosco solo io. In quella stanza, troverai il mio regalo per te. A volte il demonio ha guidato i miei pensieri, ma alla fine, il Signore mi ha illuminato indicandomi la strada della salvezza.»
I due parlarono della vita, della morte e del viaggio e, quando si salutarono, Giovanni andò via con la chiave in tasca e la tristezza nel cuore.
Don Antonio si sentì liberato da un peso. Chiuse gli occhi e sognò. Sognò di quando era giovane, la notte della bufera, la notte del piano, la notte del peccato. La passione per i libri l’aveva spinto fino a quel punto. Da quanto l’aveva visto sullo scaffale delle biblioteca a casa di Giovanni, si era chiesto se fosse proprio autentico. Il germe del desiderio gli era cresciuto dentro fino a logorarlo. Un manoscritto di Gioacchino da Fiore: il draco magnus a sette teste e i cerchi potevano essere solo opera sua. Prima di ogni lezione, sperava che Giovanni impiegasse un po’ di tempo per entrare in biblioteca, così da poter salire su quella scala e guardare il libro. Lo controllò per almeno tre volte, il numero perfetto del Signore, prima di avere la conferma. Quello era originale. Doveva averlo e studiò il piano nei particolari. Al termine della lezione serale, aveva lasciato la finestra accostata, senza chiuderla. Ma aveva fatto un errore: si era dimenticato di mettere quella dannata scala in posizione, sotto il ripiano giusto, così da evitare che il cigolio avesse potuto svegliare qualcuno. Poi Dio aveva mandato la neve. Quella cosa non andava fatta. Ma ormai nulla poteva fermarlo. Si era intrufolato silenziosamente, si era tolto le scarpe bagnate sul tappeto per evitare di lasciare troppe impronte in giro e aveva preso il libro, scappando via subito, insalutato hospite[8], verso la chiesa di San Giuseppe. Si era chiuso dentro fino al mattino seguente quando, appena uscito, aveva trovato Giovanni mezzo congelato. Si erano bevuti la storia delle preghiere alla mattina e nessuno aveva fatto troppe domande. Tutto era filato liscio e nessuno si era accorto che il libro originale che stava nella biblioteca ora era solo un contenitore in pelle vuoto.
Mentre Don Antonio faceva sogni sulla strada per l’aldilà, Giovanni entrava nella cripta di cui tutti avevano ignorato l’esistenza fino a quel momento, trovandosi davanti a scaffali pieni di libri. Su un piccolo tavolino nel mezzo, stava un manoscritto rilegato in pelle. Era un libro di Gioacchino e, anche se non capiva cosa, quel libro aveva qualcosa di familiare.


[1] Questo il lavoro, questa la fatica
[2] Io do, tu dai
[3] Al di fuori della Chiesa, non c’è salvezza
[4] Dove sta il dubbio, è la verità
[5] Cercate e troverete (la verità)
[6] Cogli l’attimo
[7] Il lupo nella favola
[8]Senza aver salutato il padrone di casa

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